Provo a punire mio figlio ma non funziona, subito dopo la punizione il problema ricompare, perché?
In Rubriche - Intervista alla terapista
Provo a punire mio figlio ma non funziona, subito dopo la punizione il problema ricompare, perché?
Per punizione intendiamo far seguire dei fatti "spiacevoli" a un determinato comportamento del bambino al fine di ridurlo o eliminarlo. Vengono prodotte sensazioni fisiche negative (schiaffi, percosse) o emozioni negative di disagio, ansia o paura (grida, minacce, critiche); la punizione può però anche consistere nella sottrazione di rinforzatori positivi, ad esempio non permettere di guardare la televisione o giocare con gli amici etc..
Il dibattito sull'utilità e la correttezza su un piano etico è tuttora acceso.
Se un comportamento fosse sempre e solo seguito da conseguenze negative (ovviamente modulate nel rispetto del bambino) probabilmente si estinguerebbe velocemente, spesso invece viene mantenuto da rinforzatori di cui i genitori non sono sempre consapevoli.
Accade infatti che la sgridata fornisca al bambino anche una dose importante d'attenzione in quanto il care giver deve interrompere ciò che sta svolgendo, rivolgersi a lui, dedicargli del tempo; inoltre spesso non ci sono coerenza e chiarezza per cui i messaggi dell'adulto non vengono ben compresi e non sono costanti per cui rendono ambigue le conseguenze di un certo schema d'azione.
In tal contesto mancano le condizioni per far cessare il comportamento problema a lungo termine e la punizione ha solo effetti negativi sulla relazione genitore-figlio.
Gli studi su tale argomento ci dicono che per sopprimere in modo stabile un comportamento devono essere rispettate alcune regole; la prima è che, per essere davvero efficace, la punizione deve davvero produrre conseguenze più negative che positive.
Inoltre l'intensità dei rinforzi negativi deve essere presente fin dall'inizio onde evitare "l'abitudine" a uno stimolo avversivo se comincia in modo blando per crescere gradualmente. E' fondamentale che il fattore punitivo avvenga immediatamente dopo il comportamento da eliminare e ogni volta che questo si manifesti, senza eccezioni.
Infine il soggetto punito non dovrebbe avere modo di sfuggire la punizione che altrimenti perderebbe il suo valore e porterebbe solo il bambino a ricercare ogni volta strategie di fuga ed evitamento (ad esempio le bugie). Come si può facilmente evincere queste condizioni difficilmente sono realizzabili nelle situazioni educative quotidiane ed è proprio per questo motivo che per lo più le punizioni risultano inefficaci.
A svantaggio dell'utilizzo della punizione c'è anche da dire che il bambino, oltre a ricevere attenzione, ottiene che il genitore si arrabbi mostrandosi dunque debole, e osserva un modello aggressivo (soprattutto in caso di punizioni fisiche che portino a fastidio o dolore) che potrebbe essere imitato e quindi riprodotto con gli altri.
Se dunque raramente funziona la punizione, come mai continua ad essere usata? In parte perché sortisce un effetto immediato per cui il bambino cessa momentaneamente il comportamento problematico, in parte perché scarica la tensione dell'adulto dandogli una sensazione di potere e controllo della situazione.
Concludendo la punizione non dovrebbe essere mai utilizzata come modello educativo predominante e senza la guida di un esperto.
Il dibattito sull'utilità e la correttezza su un piano etico è tuttora acceso.
Se un comportamento fosse sempre e solo seguito da conseguenze negative (ovviamente modulate nel rispetto del bambino) probabilmente si estinguerebbe velocemente, spesso invece viene mantenuto da rinforzatori di cui i genitori non sono sempre consapevoli.
Accade infatti che la sgridata fornisca al bambino anche una dose importante d'attenzione in quanto il care giver deve interrompere ciò che sta svolgendo, rivolgersi a lui, dedicargli del tempo; inoltre spesso non ci sono coerenza e chiarezza per cui i messaggi dell'adulto non vengono ben compresi e non sono costanti per cui rendono ambigue le conseguenze di un certo schema d'azione.
In tal contesto mancano le condizioni per far cessare il comportamento problema a lungo termine e la punizione ha solo effetti negativi sulla relazione genitore-figlio.
Gli studi su tale argomento ci dicono che per sopprimere in modo stabile un comportamento devono essere rispettate alcune regole; la prima è che, per essere davvero efficace, la punizione deve davvero produrre conseguenze più negative che positive.
Inoltre l'intensità dei rinforzi negativi deve essere presente fin dall'inizio onde evitare "l'abitudine" a uno stimolo avversivo se comincia in modo blando per crescere gradualmente. E' fondamentale che il fattore punitivo avvenga immediatamente dopo il comportamento da eliminare e ogni volta che questo si manifesti, senza eccezioni.
Infine il soggetto punito non dovrebbe avere modo di sfuggire la punizione che altrimenti perderebbe il suo valore e porterebbe solo il bambino a ricercare ogni volta strategie di fuga ed evitamento (ad esempio le bugie). Come si può facilmente evincere queste condizioni difficilmente sono realizzabili nelle situazioni educative quotidiane ed è proprio per questo motivo che per lo più le punizioni risultano inefficaci.
A svantaggio dell'utilizzo della punizione c'è anche da dire che il bambino, oltre a ricevere attenzione, ottiene che il genitore si arrabbi mostrandosi dunque debole, e osserva un modello aggressivo (soprattutto in caso di punizioni fisiche che portino a fastidio o dolore) che potrebbe essere imitato e quindi riprodotto con gli altri.
Se dunque raramente funziona la punizione, come mai continua ad essere usata? In parte perché sortisce un effetto immediato per cui il bambino cessa momentaneamente il comportamento problematico, in parte perché scarica la tensione dell'adulto dandogli una sensazione di potere e controllo della situazione.
Concludendo la punizione non dovrebbe essere mai utilizzata come modello educativo predominante e senza la guida di un esperto.
Intervista alla terapista: Il mio lavoro di Terapista dell'Età Evolutiva ha come oggetto il bambino. Questo è però inserito in una "rete" in cui i protagonisti sono in genere la famiglia e la scuola; è proprio dalle persone appartenenti a queste due categorie che mi piovono addosso una miriade di domande. Ho pensato quindi che potrebbe essere interessante condividere i dubbi di genitori e insegnanti e le risposte che diamo noi professionisti facenti parte dell'equipe.
Floriana Boffo: Mi chiamo Floriana Boffo, sono una Terapista della Neuropsicomotricità dell'Età Evolutiva. Ho conseguito la laurea a Roma presso l'Università La Sapienza con votazione di 110/110 e lode nel 2007 e da allora ho lavorato e lavoro tuttora in centri di riabilitazione convenzionati e privati dove valuto e tratto bambini con Disturbi dello Sviluppo. Ho conseguito un Master di primo livello in "Disturbi dell'Apprendimento Scolastico" e partecipato alla stesura delle linee guida sul trattamento dell'autismo presso l'istituto Superiore di sanità. Mi aggiorno costantemente tramite corsi e convegni sugli argomenti di maggiore interesse per la mia professione. Nel 2012 con alcuni colleghi ho aperto uno studio privato a Roma "Riabilitazione Monteverde". Sito web: www.riabilitazionemonteverde.com mail: floriana.boffo@gmail.com
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