Perché fare del bene agli altri fa bene anche a noi stessi: la psicologia dell'altruismo
Aiutare chi è più sfortunato di noi dovrebbe sempre essere la nostra priorità, al di là del fatto che sotto Natale ci si senta tutti un po' più buoni: la solidarietà e la beneficenza dovrebbero essere fatte tutto l'anno, non solo per una questione di attenzione e partecipazione al sociale, ma anche perché aiutare le persone ed i bambini in difficoltà fa bene anche al nostro umore e alla nostra mente. Qualsiasi occasione, dunque, è buona per far stare bene chi non ha la possibilità di avere una famiglia con cui festeggiare, una scuola in cui studiare o una struttura medica che lo possa assistere: attraverso iniziative come ad esempio i regali solidali, che potremo acquistare tramite associazioni come la Lega del Filo d'Oro, avremo l'occasione per aiutare le persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali. E, al tempo stesso, faremo del bene anche a noi stessi: vediamo insieme per quale motivo aiutare gli altri fa bene anche a chi fa beneficenza.
Le ricerche pubblicate sulla BMC Public Health
Stando ad una serie di oltre 40 ricerche pubblicate e revisionate dalla nota rivista BMC Public Health, fare del bene aiuterebbe non solo i beneficiari del gesto, ma anche chi fa beneficenza. In questo lungo fascicolo di studi, infatti, si legge che la beneficenza aiuta a stare meglio con se stessi, alza il morale, cura e allontana lo stress e ci aiuta addirittura a vivere più a lungo.
Felicità edonica ed eudemonica
Questo è quello che sostiene, ad esempio, la psicologa americana Barbara Fredrikson: secondo la studiosa dell'Università della Carolina del Nord, la felicità sarebbe da distinguere in due tipologie: quella edonica e quella eudaimonica. La prima sarebbe il risultato del benessere personale, e dipenderebbe ad esempio dallo sport e dall'attività sessuale. La felicità eudaimonica, invece, dipenderebbe dal benessere di chi ci circonda: una caratteristica che, sempre secondo la Fredrikson, avrebbe un notevole influsso benefico anche sulla nostra salute. In altre parole, sarebbe il modo per spiegare scientificamente quel senso di completezza che proviamo quando siamo altruisti e facciamo del bene al prossimo. D'altronde è cosa risaputa che l'uomo, essendo un animale sociale, ottiene influssi positivi o negativi dallo stato di benessere dei membri del proprio gruppo.
La psicologia dell'altruismo
Esistono molti studi che testimoniano il bene che procura al nostro organismo fare della beneficenza o del sano volontariato. Si tratta di ricerche che partono dagli anni '80-'90 con Batson, e arrivano fino ai giorni nostri, appoggiate da studiosi del calibro di Suzanne Richards dell'Università inglese di Exeter. La cosiddetta psicologia dell'altruismo spingerebbe l'essere umano a ricercare, anche se a livello inconscio, il bene altrui per star bene in prima persona. Questo non significa che chi fa del bene lo fa esclusivamente per un tornaconto personale, anche se a conti fatti invisibile, ma che sicuramente ciò ha il suo peso nello spingere una persona di buon cuore a manifestare la sua attenzione verso il prossimo. Perché non fare un regalo al prossimo, quindi, per provare sulla nostra pelle questa affascinante teoria scientifica?
Le ricerche pubblicate sulla BMC Public Health
Stando ad una serie di oltre 40 ricerche pubblicate e revisionate dalla nota rivista BMC Public Health, fare del bene aiuterebbe non solo i beneficiari del gesto, ma anche chi fa beneficenza. In questo lungo fascicolo di studi, infatti, si legge che la beneficenza aiuta a stare meglio con se stessi, alza il morale, cura e allontana lo stress e ci aiuta addirittura a vivere più a lungo.
Felicità edonica ed eudemonica
Questo è quello che sostiene, ad esempio, la psicologa americana Barbara Fredrikson: secondo la studiosa dell'Università della Carolina del Nord, la felicità sarebbe da distinguere in due tipologie: quella edonica e quella eudaimonica. La prima sarebbe il risultato del benessere personale, e dipenderebbe ad esempio dallo sport e dall'attività sessuale. La felicità eudaimonica, invece, dipenderebbe dal benessere di chi ci circonda: una caratteristica che, sempre secondo la Fredrikson, avrebbe un notevole influsso benefico anche sulla nostra salute. In altre parole, sarebbe il modo per spiegare scientificamente quel senso di completezza che proviamo quando siamo altruisti e facciamo del bene al prossimo. D'altronde è cosa risaputa che l'uomo, essendo un animale sociale, ottiene influssi positivi o negativi dallo stato di benessere dei membri del proprio gruppo.
La psicologia dell'altruismo
Esistono molti studi che testimoniano il bene che procura al nostro organismo fare della beneficenza o del sano volontariato. Si tratta di ricerche che partono dagli anni '80-'90 con Batson, e arrivano fino ai giorni nostri, appoggiate da studiosi del calibro di Suzanne Richards dell'Università inglese di Exeter. La cosiddetta psicologia dell'altruismo spingerebbe l'essere umano a ricercare, anche se a livello inconscio, il bene altrui per star bene in prima persona. Questo non significa che chi fa del bene lo fa esclusivamente per un tornaconto personale, anche se a conti fatti invisibile, ma che sicuramente ciò ha il suo peso nello spingere una persona di buon cuore a manifestare la sua attenzione verso il prossimo. Perché non fare un regalo al prossimo, quindi, per provare sulla nostra pelle questa affascinante teoria scientifica?
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