Cosa sappiamo del gioco?

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In Rubriche - Psicologia della Salute

Cosa sappiamo del gioco?

“Andiamo a giocare!”, “Gioca insieme agli altri bambini”, “Condividi i giochi con tuo fratello”, sono tutte espressioni che i genitori si trovano quotidianamente a pronunciare sapendo per esperienza o sentito dire che il gioco è importante.
Perché è così importante che i nostri bambini imparino a giocare e che noi diventiamo parte del gioco?
La psicologia può offrire un importante contributo alla comprensione dei dinamismi storici e familiari implicati nel gioco.
Ad esempio quando il bambino scopre che, battendo un oggetto sul tavolo, questo fa rumore, per un certo periodo batterà contro le superfici ogni oggetto che avrà tra le mani, perché è una fase propria dello sviluppo cognitivo.
L'importanza del gioco era già stata riconosciuta presso i Greci e i Romani, ma si trattava di una materia di studio nel senso che si imparavano molte regole e nella pratica, si trattava di svolgere esercizi più che altro ginnici. Il gioco non era né spontaneo né piacevole.
L'idea di introdurre il gioco nel campo educativo risale a Rousseau. Prima di lui la scuola era concepita solo per un lavoro serio e disciplinato, dove l'allievo doveva imparare a memoria determinate nozioni e acquisire determinati comportamenti, in un clima di severità, ubbidienza e distacco, ottenuto anche a costo di punizioni fisiche.
La Montessori ha cercato di graduare il materiale ludico alla maturità psicologica del bambino, col fine specifico di sviluppare le funzioni senso-motorie. Bisogna aspettare i pedagogisti moderni, come Pestalozzi, Herbart e Froebel, perché si realizzi un'impostazione psicologica ed educativa dei giochi infantili come un mezzo per sviluppare integralmente la vita psico-fisica del bambino.
I bambini amano giocare. Il gioco rappresenta il loro modo di comunicare, di apprendere e, anche, di dominare la realtà.
Il gioco è il linguaggio attraverso cui i bambini esprimono ciò che non riescono a tradurre in parole; spesso è anche il canale che gli permette di esprimere conflitti, disagi o situazioni che gli creano ansia.
Nel gioco il bambino può esprimere la propria rabbia o, più genericamente, le proprie ostilità senza rischiare nulla: non rischia ad esempio di sentirsi in colpa, cosa che accadrebbe se agisse nella realtà.
Attraverso il gioco, inoltre, i bambini riescono a dominare situazioni emotive troppo intense per la loro età, ad esempio la separazione dei genitori o un ricovero in ospedale.
Per quanto riguarda lo sviluppo affettivo, fin dalla prima infanzia, il gioco rappresenta un mezzo simbolico che accompagna il processo di separazione del bambino dalla madre, il suo riconoscersi come essere umano distinto da lei e la sua capacità di tollerarne l’assenza. In particolare, proiettando con l’immaginazione le proprie angosce interne su oggetti reali, i bambini imparerebbero a controllarle e a gestirle sviluppano creatività e autonomia.
Contemporaneamente il gioco evolve con il progredire dell’età dei bambini andando in parallelo con lo sviluppo cognitivo.
Dalla nascita ai 2 anni i giochi sono di esercizio dei sensi. Attraverso tatto, vista, udito e gusto il bambino inizia ad interagire con gli oggetti ed a provare piacere giocando.
Infatti, i bambini si limitano a semplici “giochi di esercizio” come la ripetizione di schemi di comportamento motori o vocali osservati negli adulti.
Dai 3 anni ai 7-8 anni sviluppano con i giochi simbolici la capacità di rappresentare, mediante gesti o schemi appresi, una realtà immaginaria per compensare le frustrazioni, sdrammatizzare eventi turbativi, anticipare e assimilare situazioni nuove e controllare l’aggressività. Come un attore il piccolo si cala nella parte del genitore, del bambino di sesso opposto o dell'animale e ci mostra com'è il mondo dal suo punto di vista.
E’ infine dopo i 7-8 anni fino ai 12 anni che i bambini accedono ai giochi di movimento in cui imparano a condividere e a rispettare determinate regole per la socializzazione fra pari.
La capacità di giocare è innata nell'essere umano ma i genitori possono insegnare ai figli come farlo nel modo corretto e fornire loro gli strumenti per poterlo poi fare da soli.
Certamente non è facile tornare bambini e ricominciare a giocare con i nostri figli, perché con l'età tendiamo a perdere la componente ludica delle cose. Se ripensiamo alla nostra infanzia ci vediamo impegnati a fare per ore ed ore lo stesso gioco mentre adesso, dopo soli dieci minuti, vorremmo già alzarci e fare altro.
Eppure giocare con i bambini è una grande opportunità per insegnare loro alcuni aspetti della vita in comune. Qualche piccolo consiglio:
Quando scegliete di fare un’attività cercate di essere sempre tutti presenti: mamma, papà e gli eventuali fratelli e sorelle.
Create intorno al gioco tutta una serie di attività complementari (piccoli spuntini, una musica adatta ai bambini etc.) in modo tale da creare una vera e propria esperienza di gioco che resterà per sempre nella memoria dei più piccoli.
E' importantissimo non lasciar vincere i bambini al gioco, devono imparare a perdere e gestire le sconfitte senza drammi. Un bambino che viene lasciato vincere sempre si troverà in grosse difficoltà a scuola e con gli amici perché non riuscirà ad interagire in maniera corretta con gli altri.
La partecipazione empatica dei genitori ai giochi del proprio figlio, soprattutto nei primi anni di vita, è una possibilità importante per il suo sviluppo, gli consente di trasformare le proprie emozioni negative e gli permette di imparare a gestirle autonomamente.
Lo avvia al sentimento di esistere, di essere riconosciuto ed accettato per quello che è, e quindi al senso di fiducia in se stesso e negli altri, è un modo per verificare che è importante agli occhi del genitore e che su di lui può contare. (Castellazzi, 2000).
Giocando i bambini ci rivelano non solo come rappresentano la realtà ma anche come la percepiscono. Per questo motivo i genitori che osservano il modo di giocare dei propri figli, potranno ricavarne preziosi indicatori del loro sviluppo emotivo.
E’ importante che il gioco diventi un momento di incontro tra il bambino e i suoi genitori; per questo è utile che l’adulto osservi la qualità del gioco proposto dal figlio: se è un gioco frettoloso, nel quale le azioni si sostituiscono una all’altra magari anche su giocattoli diversi, o se invece il gioco è più tranquillo e le azioni sono una l’evoluzione dell’altra, ad esempio, il signore porta la macchina al lavaggio e poi a fare benzina.
E’ utile osservare se durante il gioco il bambino cerca la condivisione con l’adulto, ad esempio con lo sguardo, o se, invece, la evita.
E’ ugualmente fonte di informazioni utili per i genitori osservare come il proprio bambino gioca con i coetanei e la loro reazione al suo modo di giocare: spesso i bambini individuano aspetti di un compagno che gli adulti impiegano molto più tempo a mettere a fuoco (ad esempio la difficoltà a rispettare le regole).
Ai giochi elettronici, passivi e ripetitivi, sono da preferire i giochi di finzione che danno ai bambini la possibilità di esprimere le loro emozioni.
A tal fine sono particolarmente indicati:
- la bambola con il set per vestirla, fare il bagno, fare la pappa;
- gli animali (feroci e domestici), i recinti, la stalla;
- le macchine e altri mezzi di trasporto con il garage, il lavaggio, il benzinaio; costruzioni di vario tipo.


Psicologia della Salute: La rubrica Psicologia della Salute affronta i temi di salute e situazioni problematiche che interessano le persone nella quotidianità, mettendo in luce l'integrazione del binomio mente-corpo. Il focus è centrato su elementi psicologici che caratterizzano l'individuo, i gruppi e le relazioni familiari in ogni fase del ciclo di vita, sempre in un ottica di promozione del benessere e valorizzazione delle competenze individuali e delle risorse sociali, così come delle abilità fisiche.


Antonietta Dattola è una psicologa clinica e di comunità, psicoterapeuta, specialista in psicologia della salute. Esperta in tecniche di rilassamento, tecniche induttive e immaginative.



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