Il “soggetto oncologico” e la sua rete affettiva di sostegno
In Rubriche - Psicologia&Oncologia
Il “soggetto oncologico” e la sua rete affettiva di sostegno
E’ difficile per un soggetto scoprire, accettare e convivere con il TUMORE, figuriamoci per le persone che gli stanno vicino.
Stare accanto ad un soggetto (malato) oncologico non è semplice. Attraverso questo articolo spero di dare dei consigli utili per una chiave di lettura di alcuni comportamenti di tale soggetto. Non dimentichiamo mai che queste sono solo indicazioni, suggerimenti, non esiste un vademecum universale perché dobbiamo sempre fare i conti con la “Soggettiva Unicità” di ogni essere umano.
Il soggetto oncologico prova un mix di depressione, sbalzi d’umore, ansia, rabbia, aggressività, confusione, demoralizzazione, senso di colpa, paura, alterazioni psicofisiologiche, ecc... Spesso passa da uno stato ad un altro in brevissimo tempo, lui stesso ha difficoltà nella gestione e nella comprensione di tali stati, immaginate la difficoltà di chi gli vive accanto! Il soggetto oncologico non vuole sentirsi oppresso, malato.
Non vuole essere trattato diversamente dagli altri o diversamente da prima della diagnosi di TUMORE. Non vuole avere accanto persone che lo “soffocano” di amore, attenzioni ed altro. Non vuole essere messo sotto una campana di vetro. Al tempo stesso però non vuole essere trattato come se niente fosse successo, come se non avesse mai avuto un TUMORE!
Il soggetto oncologico non vuole sentire la sua rete affettiva di sostegno (familiari e amici) così vicina da non poter più distinguersi da loro, così vicina da non capire più se i pensieri, i desideri e le paure sono i suoi o i loro. Al tempo stesso però non vuole neanche sentirli lontani, così lontani da non riuscire a percepirli nella sua “altalentante ed imprevedibile” vita.
A questo punto le domande sorgono spontanee, “come deve comportarsi chi fa parte della rete affettiva di sostegno? come vuole essere trattato un soggetto oncologico”?
Io credo che la risposta ed il comportamento più adeguato sia quello di trovare la giusta distanza e le giuste attenzioni.
Ovviamente è una condizione non facile da trovare visto che non esiste come misura universale ma va sempre collocata all’interno della relazione tenendo presente la “Soggettiva Unicità”. Da non dimenticare che le attenzioni e l’affetto che vengono indirizzati verso il soggetto oncologico non devono servire per colmare sensi di colpa, sensi di “inutilità” o altro, ma ogni atteggiamento ed attenzione verso questi soggetti deve essere indirizzata solo a loro, al loro stare bene, ai loro desideri e bisogni!
Il soggetto oncologico ha sempre bisogno della sua rete affettiva di sostegno (anche se spesso lo nega sia a se stesso che agli altri), ha bisogno della sua rete sicura che lo protegge, lo sostiene e che gioisce con lui delle piccole cose.
Spesso tratta male la sua rete affettiva, ma è il suo modo di “metterla alla prova”, ovvero, cerca di capire se la “rete” è in grado di sorreggerlo durante i cedimenti, di attutire le sue sofferenze, di comprendere i suo molteplici e mutevoli stati d’animo, di rimanergli accanto nonostante tutto! Sembrerà assurdo, ma quando chi fa parte della rete affettiva viene trattato male non vuol dire che il soggetto oncologico non lo vuole più al suo fianco, anzi, quasi sempre è una richiesta d’aiuto.
Tale comportamento manifesta la fiducia per quella persona, con la quale sa che può permettersi di mettersi a nudo. Di mettere a nudo le sue sofferenze, le sue paure e le comunica espellendole fuori immediatamente, irrazionalmente e magari senza rendersi conto della modalità “aggressiva” che utilizza.
Quando il TUMORE entra in una casa saltano gli equilibri dell’intero sistema famigliare. Per mantenere la coesione tra i vari membri è fondamentale la comunicazione empatica, la condivisione delle emozioni e soprattutto un sostegno psicologico per il soggetto oncologico e per la sua rete affettiva di sostegno, in quanto il TUMORE non è del singolo, ma il TUMORE è di tutto il sistema famigliare.
Stare accanto ad un soggetto (malato) oncologico non è semplice. Attraverso questo articolo spero di dare dei consigli utili per una chiave di lettura di alcuni comportamenti di tale soggetto. Non dimentichiamo mai che queste sono solo indicazioni, suggerimenti, non esiste un vademecum universale perché dobbiamo sempre fare i conti con la “Soggettiva Unicità” di ogni essere umano.
Il soggetto oncologico prova un mix di depressione, sbalzi d’umore, ansia, rabbia, aggressività, confusione, demoralizzazione, senso di colpa, paura, alterazioni psicofisiologiche, ecc... Spesso passa da uno stato ad un altro in brevissimo tempo, lui stesso ha difficoltà nella gestione e nella comprensione di tali stati, immaginate la difficoltà di chi gli vive accanto! Il soggetto oncologico non vuole sentirsi oppresso, malato.
Non vuole essere trattato diversamente dagli altri o diversamente da prima della diagnosi di TUMORE. Non vuole avere accanto persone che lo “soffocano” di amore, attenzioni ed altro. Non vuole essere messo sotto una campana di vetro. Al tempo stesso però non vuole essere trattato come se niente fosse successo, come se non avesse mai avuto un TUMORE!
Il soggetto oncologico non vuole sentire la sua rete affettiva di sostegno (familiari e amici) così vicina da non poter più distinguersi da loro, così vicina da non capire più se i pensieri, i desideri e le paure sono i suoi o i loro. Al tempo stesso però non vuole neanche sentirli lontani, così lontani da non riuscire a percepirli nella sua “altalentante ed imprevedibile” vita.
A questo punto le domande sorgono spontanee, “come deve comportarsi chi fa parte della rete affettiva di sostegno? come vuole essere trattato un soggetto oncologico”?
Io credo che la risposta ed il comportamento più adeguato sia quello di trovare la giusta distanza e le giuste attenzioni.
Ovviamente è una condizione non facile da trovare visto che non esiste come misura universale ma va sempre collocata all’interno della relazione tenendo presente la “Soggettiva Unicità”. Da non dimenticare che le attenzioni e l’affetto che vengono indirizzati verso il soggetto oncologico non devono servire per colmare sensi di colpa, sensi di “inutilità” o altro, ma ogni atteggiamento ed attenzione verso questi soggetti deve essere indirizzata solo a loro, al loro stare bene, ai loro desideri e bisogni!
Il soggetto oncologico ha sempre bisogno della sua rete affettiva di sostegno (anche se spesso lo nega sia a se stesso che agli altri), ha bisogno della sua rete sicura che lo protegge, lo sostiene e che gioisce con lui delle piccole cose.
Spesso tratta male la sua rete affettiva, ma è il suo modo di “metterla alla prova”, ovvero, cerca di capire se la “rete” è in grado di sorreggerlo durante i cedimenti, di attutire le sue sofferenze, di comprendere i suo molteplici e mutevoli stati d’animo, di rimanergli accanto nonostante tutto! Sembrerà assurdo, ma quando chi fa parte della rete affettiva viene trattato male non vuol dire che il soggetto oncologico non lo vuole più al suo fianco, anzi, quasi sempre è una richiesta d’aiuto.
Tale comportamento manifesta la fiducia per quella persona, con la quale sa che può permettersi di mettersi a nudo. Di mettere a nudo le sue sofferenze, le sue paure e le comunica espellendole fuori immediatamente, irrazionalmente e magari senza rendersi conto della modalità “aggressiva” che utilizza.
Quando il TUMORE entra in una casa saltano gli equilibri dell’intero sistema famigliare. Per mantenere la coesione tra i vari membri è fondamentale la comunicazione empatica, la condivisione delle emozioni e soprattutto un sostegno psicologico per il soggetto oncologico e per la sua rete affettiva di sostegno, in quanto il TUMORE non è del singolo, ma il TUMORE è di tutto il sistema famigliare.
Psicologia&Oncologia: La rubrica “Psicologia&Oncologia” vuole offrire un sostegno “virtuale” rispondendo a richieste d’aiuto, domande e paure, proponendo informazioni, consigli, esperienze e dati clinici. L’obiettivo che si propone è cercare di migliorare la qualità della vita del malato oncologico riducendo le problematiche psico-sociali connesse ai vari momenti del cammino evolutivo del “percorso oncologico”, sia a livello individuale, familiare e sociale.
Dai dati emersi da recenti ricerche "un malato di cancro su tre ha bisogno di un sostegno psicologico e si riscontra come il problema della qualità della vita non riguarda solo i pazienti, ma anche i caregivers, cioè coloro che li assistono, e che possono andare incontro a una serie di disturbi da stress e a forme di depressione" [Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – Favo].
Questa rubrica non vuole sostituirsi al percorso terapeutico tradizionale sia individuale che di gruppo, che ritengo fondamentale durante un percorso oncologico. La rubrica si pone come ponte di collegamento tra il malato oncologico (anche famiglia, familiari, ecc..) e la consapevolezza di affrontare un percorso terapeutico al fine di sentirsi accolti, sostenuti ed accompagnati durante questo cammino. Questa rubrica serve anche per sfatare due tabù: 1) Di tumore non si deve parlare; 2) Chi segue un percorso terapeutico è “folle”, io sono solo un malato oncologico e non mentale e quindi no ne ho bisogno.
Dai dati emersi da recenti ricerche "un malato di cancro su tre ha bisogno di un sostegno psicologico e si riscontra come il problema della qualità della vita non riguarda solo i pazienti, ma anche i caregivers, cioè coloro che li assistono, e che possono andare incontro a una serie di disturbi da stress e a forme di depressione" [Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – Favo].
Questa rubrica non vuole sostituirsi al percorso terapeutico tradizionale sia individuale che di gruppo, che ritengo fondamentale durante un percorso oncologico. La rubrica si pone come ponte di collegamento tra il malato oncologico (anche famiglia, familiari, ecc..) e la consapevolezza di affrontare un percorso terapeutico al fine di sentirsi accolti, sostenuti ed accompagnati durante questo cammino. Questa rubrica serve anche per sfatare due tabù: 1) Di tumore non si deve parlare; 2) Chi segue un percorso terapeutico è “folle”, io sono solo un malato oncologico e non mentale e quindi no ne ho bisogno.
Eleonora Marsala è una psicologa. Negli ultimi anni si è formata sul campo (e sulla sua pelle), in psiconcologia. Non attraverso corsi o libri di testo, ma all’interno dei reparti oncologici, lavorando su se stessa e con gli altri “colleghi di patologia”.
Dal 2009 collabora con alcune Associazioni ed Enti di Formazione Professionale prendendo parte a ricerche scientifiche, progettazione, valutazione, monitoraggio, orientamento all’interno di progetti e Avvisi finanziati dalla Regione Sicilia e dall’Unione Europea.
Abilitata all’uso professionale del “Metodo Ege” per la valutazione e quantificazione del danno da Mobbing, presso PRIMA (Associazione Italiana contro il Mobbing e lo Stress psicosociale) di Bologna. Nel 2012 componente del Gruppo di lavoro "Psicologia del lavoro e delle organizzazioni" dell'Ordine degli Psicologi della Regione della Sicilia.
Scrive anche sul suo Blog "La ragazza con la chemio nella borsetta" che è a tutt'oggi molto seguito.
Dal 2009 collabora con alcune Associazioni ed Enti di Formazione Professionale prendendo parte a ricerche scientifiche, progettazione, valutazione, monitoraggio, orientamento all’interno di progetti e Avvisi finanziati dalla Regione Sicilia e dall’Unione Europea.
Abilitata all’uso professionale del “Metodo Ege” per la valutazione e quantificazione del danno da Mobbing, presso PRIMA (Associazione Italiana contro il Mobbing e lo Stress psicosociale) di Bologna. Nel 2012 componente del Gruppo di lavoro "Psicologia del lavoro e delle organizzazioni" dell'Ordine degli Psicologi della Regione della Sicilia.
Scrive anche sul suo Blog "La ragazza con la chemio nella borsetta" che è a tutt'oggi molto seguito.
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Grazie Eleonora, grazie davvero solo chi vive queste esperienze può accogliere quanta verità c'è nelle tue parole. Antonietta
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