Dipendenza e tossicomania, perché non si riesce a smettere? di Valentina De Maio e Paola Green

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Inviato da Valentina De Maio

Dipendenza e tossicomania, perché non si riesce a smettere? di Valentina De Maio e Paola Green

Ad oggi si continua a far uso di stupefacenti, consumo che non si limita purtroppo, a particolari aree geografiche, età, personalità e status sociale ma che si estende ad una grande fetta della popolazione mondiale, nonostante ci si affanni in campagne di prevenzione e informazione che partono dalla scuola dell’infanzia.
Si tratta di un fenomeno che ha subìto un’evoluzione rispetto al passato, in quanto è cambiato il suo senso intrinseco: mentre prima, negli anni 60-70 serviva per “uscire” dal mondo, oggi viene utilizzata per “entrare” in quest’ultimo, come supporto e come anestetico del senso di inadeguatezza e di insicurezza.
Come accade spesso in psicologia ci si riferisce a Freud, il padre della psicoanalisi, il quale ne “il Disagio della Civiltà” afferma che per eliminare una sensazione di dolore, “il più rozzo, ma anche il più efficace metodo per influire sull’organismo è quello chimico: L’intossicazione”.
Una delle credenze del passato da sfatare è quella secondo la quale l’assunzione di droga limiti la libertà del soggetto, per cui egli risponderebbe delle sue azioni. Deresponsabilizzarlo, significherebbe attribuire alla droga una funzione di causa, mentre il tossicomane, come direbbe Lacan, sceglie il significante: “Sono un tossicomane”.
Proprio per questo i tossicomani non si fanno remore a perdere relazioni con famiglia, amici e lavoro, pur di raggiungere a qualsiasi costo quel “piacere” tanto desiderato. Ma per questi ultimi cosa c’è da fare? Ansia, preoccupazione, difficoltà sono il pane quotidiano di queste famiglie, abbandonate dalle istituzioni e per le quali la terapia della disintossicazione è un miraggio al quale ambiscono.
La stessa terapia di disintossicazione è quella che pone i minori problemi dovendo essa agire sulla dipendenza fisica, ma purtroppo il fatto che il soggetto sia fisicamente disintossicato non risolve il problema della “ricaduta”, perché questo è strettamente legato alla dipendenza psichica, il cui significato va ricercato nel “senso di vuoto” vissuto dai soggetti dipendenti, che cercano di colmare con Altro: oggetto controllabile ed affidabile le cui funzioni sono quelle di mediare il rapporto tra il soggetto e la realtà, di essere un supporto per il suo fragile senso di sé messo in discussione dall’intenso dolore psichico.
Una domanda alla quale risulta difficile rispondere con dei discorsi generalizzabili è se da una tossicodipendenza sia possibile "guarire" completamente. La risposta è certamente positiva anche se molte persone, più di quelle che si possa immaginare, vivono in una situazione di cronicità con periodi di remissione seguiti da ricadute. Altre persone, optano invece per un “fai da Te” avvalorando la tesi della persona che riesce a cavarsela da sola in qualsiasi situazione. Ma non è cosi.
Per poter iniziare un percorso di guarigione è necessario avvalersi di persone competenti, comprensive e risolutive, avvezze a crisi di astinenza e intoppi durante il percorso. Se, complice la forza di volontà dell’assistito, si riescono a seguire le indicazioni dell’equipe multidisciplinare, non si escludono purtroppo possibili ricadute. Per questo, i familiari, gli amici, i partner, devono rispettare l’andamento della guarigione senza acquisire ruoli terapeutici che non gli appartengono.
Le casistiche dimostrano che si può ricominciare, ma come direbbe C.G. Jung “ Senza sofferenza non c’è cambiamento”.

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