Di cosa parliamo quando parliamo di tumore?
In Rubriche - Psicologia&Oncologia
Di cosa parliamo quando parliamo di tumore?
Spesso sul web, ma non solo, mi sono imbattuta in articoli, libri e pensieri scritti da soggetti che pensano di aver capito cosa è il tumore e cosa comporta nella vita dei soggetti coinvolti.
Generalmente i libri o gli articoli sono scritti attraverso un linguaggio troppo sterile, più tecnicistico, medico e chimico (ovviamente non parlo degli articoli o dei libri medico/specialistici) quando si dovrebbe utilizzare un linguaggio più comune, più emotivo. Il tumore è emozione.
Emozione di vita, emozione di morte... emozione del singolo individuo che va a scontrarsi con emozioni e paure del contesto familiare ed amicale. Sono dell’idea che soltanto chi ha incontrato sul proprio cammino “l’ospite indesiderato” che si è accomodato all’interno del corpo stravolgendo i piani di una vita può capire cosa realmente prova e sente un malato oncologico.
Questo discorso vale anche per alcuni medici ed infermieri che avendo una formazione medico/specialistica nel settore dimenticano che quando si informa un soggetto di una diagnosi di tumore dovrebbero essere utilizzate delle modalità comunicative adeguate.
Dovrebbero usare un linguaggio chiaro, semplice e possibilmente predisporsi ad una comunicazione il più possibile empatica. Molti medici invece “lanciano” addosso al malato e alla sua famiglia un macigno enorme che li schiaccia e li paralizza sempre più, impedendo ai soggetti di riuscire a muoversi, di capire cosa devono fare, di ragionare. Il malato oncologico e la sua rete affettiva vivono la diagnosi di tumore come una “sentenza di morte”, come preludio di una vita finita.
Alla parola TUMORE pronunciata dal medico, parola che già giocava a nascondino nei pensieri del soggetto tra paure e speranze, la mente va in tilt. Per esperienza posso dire che dopo quella “sentenza” non si presta più attenzione alla comunicazione del medico: “la mente è altrove che passeggia a braccetto con la PAURA DELLA MORTE cercando disperatamente la SPERANZA DI VITA. Il tumore trasforma il soggetto in un “funambolo”, costantemente in bilico tra varie dimensioni ed emozioni… vita/morte, paura/speranza, dolore/gioia, felicità/tristezza, ecc..
I medici, gli infermieri, gli psicologi, i familiari e comunque tutte le figure che ruotano attorno al malato oncologico, anche a seguito di studi, corsi ed esperienze sul campo, non potranno mai comprendere pienamente cosa prova un paziente oncologico. Possono essere empatici, sensibili, preparati, possono sostenere e facilitare il “percorso oncologico”, possono aiutare a far emergere le risorse interne, aiutare ad affrontare la realtà, a superare i dolori e le sofferenze, ma non potranno mai capire cosa prova chi ha dentro di se un TUMORE.
Alla domanda “di cosa parliamo quando parliamo di tumore” io rispondo che parliamo di persone nella loro SOGGETTIVA UNICITÀ.
Per alcuni quando si parla di TUMORE, si parla di morte e per altri si parla di trasformazioni, altri ancora non vogliono neanche sentire nominare la parola.
Ogni “esperienza di tumore” varia da soggetto a soggetto. Il tumore stravolge la vita del malato e della sua famiglia, ma non lo fa seguendo uno schema preciso in quanto è la soggettiva unicità che influisce sul decorso della malattia, e non soltanto a livello psicologico.
Parlando di soggettiva unicità (e quindi della personalità di un soggetto e delle sue risorse interne) non posso tralasciare l’importanza e l’influenza del contesto socio/culturale. Non possiamo isolare il soggetto, ma dobbiamo includerlo all’interno della sua “rete di sostegno”, ovvero della sua rete affettiva, amicale e lavorativa, e quindi del suo mondo sia interno che esterno!
Generalmente i libri o gli articoli sono scritti attraverso un linguaggio troppo sterile, più tecnicistico, medico e chimico (ovviamente non parlo degli articoli o dei libri medico/specialistici) quando si dovrebbe utilizzare un linguaggio più comune, più emotivo. Il tumore è emozione.
Emozione di vita, emozione di morte... emozione del singolo individuo che va a scontrarsi con emozioni e paure del contesto familiare ed amicale. Sono dell’idea che soltanto chi ha incontrato sul proprio cammino “l’ospite indesiderato” che si è accomodato all’interno del corpo stravolgendo i piani di una vita può capire cosa realmente prova e sente un malato oncologico.
Questo discorso vale anche per alcuni medici ed infermieri che avendo una formazione medico/specialistica nel settore dimenticano che quando si informa un soggetto di una diagnosi di tumore dovrebbero essere utilizzate delle modalità comunicative adeguate.
Dovrebbero usare un linguaggio chiaro, semplice e possibilmente predisporsi ad una comunicazione il più possibile empatica. Molti medici invece “lanciano” addosso al malato e alla sua famiglia un macigno enorme che li schiaccia e li paralizza sempre più, impedendo ai soggetti di riuscire a muoversi, di capire cosa devono fare, di ragionare. Il malato oncologico e la sua rete affettiva vivono la diagnosi di tumore come una “sentenza di morte”, come preludio di una vita finita.
Alla parola TUMORE pronunciata dal medico, parola che già giocava a nascondino nei pensieri del soggetto tra paure e speranze, la mente va in tilt. Per esperienza posso dire che dopo quella “sentenza” non si presta più attenzione alla comunicazione del medico: “la mente è altrove che passeggia a braccetto con la PAURA DELLA MORTE cercando disperatamente la SPERANZA DI VITA. Il tumore trasforma il soggetto in un “funambolo”, costantemente in bilico tra varie dimensioni ed emozioni… vita/morte, paura/speranza, dolore/gioia, felicità/tristezza, ecc..
I medici, gli infermieri, gli psicologi, i familiari e comunque tutte le figure che ruotano attorno al malato oncologico, anche a seguito di studi, corsi ed esperienze sul campo, non potranno mai comprendere pienamente cosa prova un paziente oncologico. Possono essere empatici, sensibili, preparati, possono sostenere e facilitare il “percorso oncologico”, possono aiutare a far emergere le risorse interne, aiutare ad affrontare la realtà, a superare i dolori e le sofferenze, ma non potranno mai capire cosa prova chi ha dentro di se un TUMORE.
Alla domanda “di cosa parliamo quando parliamo di tumore” io rispondo che parliamo di persone nella loro SOGGETTIVA UNICITÀ.
Per alcuni quando si parla di TUMORE, si parla di morte e per altri si parla di trasformazioni, altri ancora non vogliono neanche sentire nominare la parola.
Ogni “esperienza di tumore” varia da soggetto a soggetto. Il tumore stravolge la vita del malato e della sua famiglia, ma non lo fa seguendo uno schema preciso in quanto è la soggettiva unicità che influisce sul decorso della malattia, e non soltanto a livello psicologico.
Parlando di soggettiva unicità (e quindi della personalità di un soggetto e delle sue risorse interne) non posso tralasciare l’importanza e l’influenza del contesto socio/culturale. Non possiamo isolare il soggetto, ma dobbiamo includerlo all’interno della sua “rete di sostegno”, ovvero della sua rete affettiva, amicale e lavorativa, e quindi del suo mondo sia interno che esterno!
Psicologia&Oncologia: La rubrica “Psicologia&Oncologia” vuole offrire un sostegno “virtuale” rispondendo a richieste d’aiuto, domande e paure, proponendo informazioni, consigli, esperienze e dati clinici. L’obiettivo che si propone è cercare di migliorare la qualità della vita del malato oncologico riducendo le problematiche psico-sociali connesse ai vari momenti del cammino evolutivo del “percorso oncologico”, sia a livello individuale, familiare e sociale.
Dai dati emersi da recenti ricerche "un malato di cancro su tre ha bisogno di un sostegno psicologico e si riscontra come il problema della qualità della vita non riguarda solo i pazienti, ma anche i caregivers, cioè coloro che li assistono, e che possono andare incontro a una serie di disturbi da stress e a forme di depressione" [Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – Favo].
Questa rubrica non vuole sostituirsi al percorso terapeutico tradizionale sia individuale che di gruppo, che ritengo fondamentale durante un percorso oncologico. La rubrica si pone come ponte di collegamento tra il malato oncologico (anche famiglia, familiari, ecc..) e la consapevolezza di affrontare un percorso terapeutico al fine di sentirsi accolti, sostenuti ed accompagnati durante questo cammino. Questa rubrica serve anche per sfatare due tabù: 1) Di tumore non si deve parlare; 2) Chi segue un percorso terapeutico è “folle”, io sono solo un malato oncologico e non mentale e quindi no ne ho bisogno.
Dai dati emersi da recenti ricerche "un malato di cancro su tre ha bisogno di un sostegno psicologico e si riscontra come il problema della qualità della vita non riguarda solo i pazienti, ma anche i caregivers, cioè coloro che li assistono, e che possono andare incontro a una serie di disturbi da stress e a forme di depressione" [Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – Favo].
Questa rubrica non vuole sostituirsi al percorso terapeutico tradizionale sia individuale che di gruppo, che ritengo fondamentale durante un percorso oncologico. La rubrica si pone come ponte di collegamento tra il malato oncologico (anche famiglia, familiari, ecc..) e la consapevolezza di affrontare un percorso terapeutico al fine di sentirsi accolti, sostenuti ed accompagnati durante questo cammino. Questa rubrica serve anche per sfatare due tabù: 1) Di tumore non si deve parlare; 2) Chi segue un percorso terapeutico è “folle”, io sono solo un malato oncologico e non mentale e quindi no ne ho bisogno.
Eleonora Marsala è una psicologa. Negli ultimi anni si è formata sul campo (e sulla sua pelle), in psiconcologia. Non attraverso corsi o libri di testo, ma all’interno dei reparti oncologici, lavorando su se stessa e con gli altri “colleghi di patologia”.
Dal 2009 collabora con alcune Associazioni ed Enti di Formazione Professionale prendendo parte a ricerche scientifiche, progettazione, valutazione, monitoraggio, orientamento all’interno di progetti e Avvisi finanziati dalla Regione Sicilia e dall’Unione Europea.
Abilitata all’uso professionale del “Metodo Ege” per la valutazione e quantificazione del danno da Mobbing, presso PRIMA (Associazione Italiana contro il Mobbing e lo Stress psicosociale) di Bologna. Nel 2012 componente del Gruppo di lavoro "Psicologia del lavoro e delle organizzazioni" dell'Ordine degli Psicologi della Regione della Sicilia.
Scrive anche sul suo Blog "La ragazza con la chemio nella borsetta" che è a tutt'oggi molto seguito.
Dal 2009 collabora con alcune Associazioni ed Enti di Formazione Professionale prendendo parte a ricerche scientifiche, progettazione, valutazione, monitoraggio, orientamento all’interno di progetti e Avvisi finanziati dalla Regione Sicilia e dall’Unione Europea.
Abilitata all’uso professionale del “Metodo Ege” per la valutazione e quantificazione del danno da Mobbing, presso PRIMA (Associazione Italiana contro il Mobbing e lo Stress psicosociale) di Bologna. Nel 2012 componente del Gruppo di lavoro "Psicologia del lavoro e delle organizzazioni" dell'Ordine degli Psicologi della Regione della Sicilia.
Scrive anche sul suo Blog "La ragazza con la chemio nella borsetta" che è a tutt'oggi molto seguito.
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