I disturbi del comportamento Alimentare: L’anoressia come grido d’amore, di Valentina De Maio e Paola Green

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Inviato da Valentina De Maio

I disturbi del comportamento Alimentare: L’anoressia come grido d’amore, di Valentina De Maio e Paola Green

L’individuazione dell’Anoressia come un vero e proprio disturbo, risale a tre secoli fa. Tuttavia si è osservato un allarmante incremento a partire dagli anni ‘60, periodo in cui tale disturbo si considerava un’espressione tipica di donne, ma soprattutto di adolescenti dell’alta borghesia statunitense ed ovest-europea, fino ad arrivare ad una vera e propria massificazione del fenomeno patologico a partire dagli anni ’90, periodo in cui si è osservato indistintamente anche a livello transculturale.
Verso questo disturbo, vi è una doppia chiave di lettura: da un lato, si ipotizza un’origine neurologica che, attraverso una possibile compromissione dei centri ipotalamici che regolano il ritmo fame/sazietà, possa condurre nel soggetto una difficoltà a riconoscere tali stimoli; dall’altro, si ipotizza un’origine mentale che ha forti risonanze nel mondo interno dei pazienti e nel proprio entourage familiare, e la cui complessità è dovuta ad una molteplicità di fattori.
Selvini Palazzoli ipotizza che alla base di questo disturbo vi sia un’alterazione della percezione della propria magrezza, un profondo senso di inadeguatezza e una bassa autostima che sono ben mascherati dal forte e onnipotente “No!” delle ragazzine anoressiche che diviene sia uno scudo protettivo che un mezzo per esprimere un disagio e allo stesso tempo per trovare una “soluzione”.
Una persona che soffre di questo tipo di problematica del comportamento alimentare sente un forte bisogno di controllo che non si lascia andare neanche ad un semplice assaggio di una pietanza desiderata.
Come mai tutto ciò? È un modo che serve a contenere un’angoscia di frammentazione del Sé, una paura di perdersi e non riuscirsi a ritrovare che non le permette mai di lasciarsi andare ma al contrario è fondamentale e necessario tenere tutto sotto “controllo”.
In questo senso non bisogna credere di essere incapaci a rinunciare ad un vizio o di non avere una volontà così ferrea da interrompere le crisi bulimiche, la cui perdita di controllo sul cibo, o l’assenza di condotte restrittive e di esercizio fisico eccessivo, sono seguiti da laceranti sensi di colpa e di inettitudine. Si tratta di avere un disagio psicologico che può portare devastanti effetti collaterali dovuti alla pratica del vomito autoindotto, come la tumefazione delle ghiandole fino all’infezione e più in generale alla morte.
Quali sono le attuali risoluzioni? Molto spesso il genitore della persona anoressica preferisce “trattare il caso” con un approccio medico ospedaliero esclusivamente finalizzato alla risoluzione del sintomo, approccio che permette al genitore e/o alla coppia genitoriale di mantenere le distanze dalle proprie responsabilità, delegando tutto alle istituzioni e allo stesso tempo, reprime quello che la ragazza anoressica attraverso il sintomo, tenta di esprimere quello che non riesce a mettere in parole. È un po’ come soffocare un grido. Un grido d’amore infinito che può pagarne le spese anche con la morte.

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