Tra i due litiganti il terzo non gode: il trauma di separazione nella sindrome di alienazione genitoriale, di Teresa Tarantino
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Scritto da Teresa Tarantino
Tra i due litiganti il terzo non gode: il trauma di separazione nella sindrome di alienazione genitoriale, di Teresa Tarantino
Comportamenti aggressivi, problemi scolastici, paure, depressione, paranoie, disturbi fisici (mal di testa, problemi gastrointestinali, ect.). Questi alcuni dei disturbi che i figli contesi possono manifestare nelle situazioni di separazione coniugale.
Lo studioso Gardner (1992) ha individuato otto sintomi osservabili nel comportamento del bambino, per poter parlare di sindrome di alienazione genitoriale (P.A.S.):
1) campagna di denigrazione, nella quale il bambino riproduce i messaggi di disprezzo del genitore «alienante» verso quello «alienato. 2) razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o, anche, solamente superficiali. 3) mancanza di ambivalenza, per la quale il genitore rifiutato è descritto dal bambino come completamente negativo laddove l’altro è visto come completamente positivo. 4) fenomeno del pensatore indipendente indica la determinazione del bambino ad affermare di essere una persona che sa ragionare senza influenze e di aver elaborato da solo i termini della campagna di denigrazione. 5) appoggio automatico al genitore «alienante, ovvero una presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante. 6) assenza di senso di colpa, per il quale tutte le espressioni di disprezzo nei confronti del genitore alienato trovano giustificazione nel fatto di essere meritate. 7) scenari presi a prestito, ovvero affermazioni che non possono ragionevolmente provenire direttamente dal bambino, quali ad esempio l’uso di frasi, parole, espressioni o la citazione di situazioni normalmente non patrimonio di un bambino di quell'età per descrivere le colpe del genitore escluso. 8) estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato, che coinvolge, nell’alienazione, la famiglia, gli amici e le nuove relazioni affettive (una compagna o un compagno) del genitore rifiutato.
Si tratta di una vera e propria collusione familiare, nella quale ogni membro della triade (padre, madre e figlio) finisce per ricoprire un ruolo ed una funzione precisa, che rinforza e protrae comportamenti e relazioni dipendenti e conflittuali.
Da un lato, il genitore alienante, il quale, a sua volta, vive delle difficoltà emotive, mette in atto una sorta di “lavaggio del cervello” nei confronti del figlio. Egli tende a sottolineare di essere l’unico in grado di prendersi cura del minore ed a minacciare un calo d’affetto nel caso quest’ultimo si avvicini all’altro.
Il genitore alienato, dall’altro lato, contribuisce allo sviluppo di tale organizzazione relazionale attraverso un’ eccessiva passività, che porta ad un ulteriore allontanamento o, in casi opposti, all’utilizzo di metodi autoritari (Tribunale, Carabinieri, ect), rinforzando la convinzione del minore di un genitore aggressivo e violento.
All’interno del conflitto tra i coniugi, il figlio viene messo in posizione di giudice dei comportamenti scorretti dell’altro. Il suo amore verso il genitore alienato rimane, ma viene negato per non perdere l’affetto del genitore alienante. Il bambino assume un atteggiamento di cura e protezione verso il genitore dal quale dipende, diventando colui che consola e non tradisce.
Si struttura, così, un sistema relazionale che imprigiona gli ex coniugi ed il figlio, in un vortice di malessere nascosto e conflittualità pervasiva.
Se coniugi non si è più, genitori si rimane per tutta la vita. Diviene fondamentale, dunque, riconoscere la sofferenza del proprio figlio e rivolgersi ad esperti delle relazioni familiari che aiutino ad elaborare il dolore della separazione, per scongiurare l’instaurarsi di problematiche gravi.
Lo studioso Gardner (1992) ha individuato otto sintomi osservabili nel comportamento del bambino, per poter parlare di sindrome di alienazione genitoriale (P.A.S.):
1) campagna di denigrazione, nella quale il bambino riproduce i messaggi di disprezzo del genitore «alienante» verso quello «alienato. 2) razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o, anche, solamente superficiali. 3) mancanza di ambivalenza, per la quale il genitore rifiutato è descritto dal bambino come completamente negativo laddove l’altro è visto come completamente positivo. 4) fenomeno del pensatore indipendente indica la determinazione del bambino ad affermare di essere una persona che sa ragionare senza influenze e di aver elaborato da solo i termini della campagna di denigrazione. 5) appoggio automatico al genitore «alienante, ovvero una presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante. 6) assenza di senso di colpa, per il quale tutte le espressioni di disprezzo nei confronti del genitore alienato trovano giustificazione nel fatto di essere meritate. 7) scenari presi a prestito, ovvero affermazioni che non possono ragionevolmente provenire direttamente dal bambino, quali ad esempio l’uso di frasi, parole, espressioni o la citazione di situazioni normalmente non patrimonio di un bambino di quell'età per descrivere le colpe del genitore escluso. 8) estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato, che coinvolge, nell’alienazione, la famiglia, gli amici e le nuove relazioni affettive (una compagna o un compagno) del genitore rifiutato.
Si tratta di una vera e propria collusione familiare, nella quale ogni membro della triade (padre, madre e figlio) finisce per ricoprire un ruolo ed una funzione precisa, che rinforza e protrae comportamenti e relazioni dipendenti e conflittuali.
Da un lato, il genitore alienante, il quale, a sua volta, vive delle difficoltà emotive, mette in atto una sorta di “lavaggio del cervello” nei confronti del figlio. Egli tende a sottolineare di essere l’unico in grado di prendersi cura del minore ed a minacciare un calo d’affetto nel caso quest’ultimo si avvicini all’altro.
Il genitore alienato, dall’altro lato, contribuisce allo sviluppo di tale organizzazione relazionale attraverso un’ eccessiva passività, che porta ad un ulteriore allontanamento o, in casi opposti, all’utilizzo di metodi autoritari (Tribunale, Carabinieri, ect), rinforzando la convinzione del minore di un genitore aggressivo e violento.
All’interno del conflitto tra i coniugi, il figlio viene messo in posizione di giudice dei comportamenti scorretti dell’altro. Il suo amore verso il genitore alienato rimane, ma viene negato per non perdere l’affetto del genitore alienante. Il bambino assume un atteggiamento di cura e protezione verso il genitore dal quale dipende, diventando colui che consola e non tradisce.
Si struttura, così, un sistema relazionale che imprigiona gli ex coniugi ed il figlio, in un vortice di malessere nascosto e conflittualità pervasiva.
Se coniugi non si è più, genitori si rimane per tutta la vita. Diviene fondamentale, dunque, riconoscere la sofferenza del proprio figlio e rivolgersi ad esperti delle relazioni familiari che aiutino ad elaborare il dolore della separazione, per scongiurare l’instaurarsi di problematiche gravi.
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